MONTEMURRO, CENNI STORICI

Montemurro è situato a 723 metri (altitudine di piazza Giacinto Albini) sul livello del mare sulla pendice meridionale di un monte che, essendo protetta da ripidi burroni, nel Medioevo ne faceva un luogo ideale per un insediamento stabile. Le origini appunto medioevali del paese ci riportano indietro nel tempo, quando Montemurro era un modesto villaggio alle dipendenze di Grumentum (diremmo oggi, una frazione di Grumentum) sorto attorno ad un Castrum (o castellum) Montis Murri (dal quale prese il nome) e ancor prima, quando l'abitato si suppone fosse nell'attuale contrada Castelvetere (vecchio castello). Il confine temporale che divide i due insediamenti è convenzionalmente l'anno Mille e ciò che in questa sede interessa è il secondo insediamento, cioè quello che si sviluppò appunto attorno al Castrum Montis Murri, che si trovava dove ora sorge l'ormai sconsacrata chiesa di San Domenico e tutto l'immobile ad essa contiguo, in piazza Giacinto Albini.

L'etimologia del nome pare derivare da morro, che in latino stava ad indicare un'altura terminante a cupola, e in ogni caso doveva presentarsi così l'area del complesso di San Domenico o quantomeno parte di essa. L'abitato ben presto si estese verso sud fino al luogo detto delle taverne (ganeanum loci), l'attuale Gannano, nel quale sorgevano già un antico tempio pagano, una stazione di posta ad uso dei fedeli e, appunto, delle taverne. Dal momento che erano presenti tutti questi "servizi" doveva trattarsi certamente di un importante santuario, che sorgeva nell'attuale piazzetta San Nicola.

Notizie ufficiali di Montemurro si hanno fin dal 1068, quando Roberto conte di Montescaglioso, nipote di Roberto il Guiscardo, concesse il territorio di Montemurro alla sede episcopale di Tricarico. Nel frattempo infatti il paese, a seguito dell'abbandono di Grumentum devastato dalle incursioni saracene, divenne centro a sè stante (come del resto gli altri paesi della zona), possedimento dei vari feudatari che si susseguirono dai tempi del citato diploma di concessione del 1068 all'occupazione napoleonica, quando venne abolito il sistema feudale.

Notizie ben più recenti ci mostrano Montemurro come una florida cittadina in cui prosperava il commercio grazie all'abilità (diremmo oggi imprenditoriale) dei suoi abitanti, i quali esportavano cuoio, tessuti, funi e vasellame in ceramica, e possedevano rinomate concerie di pelli (di qui il toponimo Concerie). Il numero di abitanti, ci informano le fonti, arrivò nel 1857 ad un massimo di 7500 persone; nello stesso anno però, nel giro di una nottata, si passò a 5000 abitanti o, per meglio dire, sopravvissuti. Il 16 dicembre di quell'anno vi fu infatti un devastante terremoto che rase al suolo quasi completamente Montemurro, calamità dalla quale si salvò esclusivamente la zona delle Concerie. Un'inquietante giustizia devastatrice però finì dopo mezzo secolo il lavoro che aveva iniziato, e il 26 febbraio del 1907 una frana (oltre tre chilometri di fronte) si abbatté sui rioni Carmine e Concerie, cancellando la totalità del primo e la gran parte del secondo: tuttora la zona sovrastante la chiesa di San Sebastiano è detta "La Frana", così come la via che la percorre. La frana rase al suolo, tra le altre cose, anche l'antichissima chiesa della Madonna di Servigliano (già citata dal diploma del 1068 come "Ecclesiam Sanctae Mariae de Sorbaleno"), che si trovava appunto in contrada Servigliano (toponimo che si fa derivare da tale Servilium cittadino di Grumentum, che quivi possedeva una villa). La tradizione popolare vuole che la Madonna stessa, apparsa in sogno ad un contadino, avesse ordinato agli abitanti, in remissione dei peccati, la ricostruzione della sua chiesa in altro luogo, e precisamente sull'altopiano di Santo Jaso: un luogo sacro da tempo immemore, poichè dove fu poi in effetti ricostruita la chiesa sorgeva il tempio della dea Jaso, divinità greco-romana della buona salute, alle cui spalle vi era una foresta di faggi consacrata alla stessa Dea (Saltus Jasi, foresta di Jaso). Non può non lasciare perplessi l'accostamento giustizia devastatrice - remissione dei peccati, neppure a chi, come me, tra la ragione e la religione preferisce la prima: certamente, non so proprio quali peccati potessero aver commesso questi montemurresi industriosi e commercianti per meritarsi la devastazione totale, anche se in merito al terremoto una risposta ce l'ha data Pio IX, che a seguito del sisma affermò che Dio aveva punito le zone del Regno maggiormente ostili al Re Ferdinando di Borbone. Essendo in un montemurrese (Giacinto Albini) il fulcro della futura insurrezione lucana, il Papa non aveva tutti i torti. Certo è che, condanna divina a parte (l'esternazione attribuita a Pio IX è in realtà una leggenda o, più probabilmente, una frase creata ad hoc all'interno di tutto il discorso retorico risorgimentale), questa espiazione dei peccati proseguì anche oltre, colpendo Montemurro con una nuova calamità: l'emigrazione (sulle sue cause, vedere la sezione L'Emigrazione).

Montemurro fino a pochi anni fa era pervasa da un appiattimento totale dal punto di vista occupazionale e culturale, triste eredità di terremoto, frana e emigrazione. Oggi, pur essendo l'occupazione ancora una chimera, qualcosa si sta muovendo. Il lavoro a Montemurro viene principalmente dal taglio dei boschi, dall'edilizia, dalla zona industriale di Viggiano e dalla Fiat di Melfi, così come dalle attività commerciali (principalmente bar e negozi), e recentemente Montemurro ha recuperato la sua storica cooperativa e la sua vocazione olearia per entrare nella filiera dei prodotti dell'Alta Val d'Agri col suo olio extravergine di oliva. Un profano, leggendo ciò, direbbe che Montemurro è di nuovo un paradiso, come prima del terremoto del 1857, ma non è così. Le fonti di lavoro di cui sopra sono altamente instabili e difficilmente danno quella sicurezza economica bramata da 150 anni, ma esula dal mio lavoro creare facili allarmismi, specialmente perchè non ce n'è bisogno. Se non corrisponde a verità dipingere Montemurro come un paradiso sociale, certo non corrisponde a verità nemmeno dipingerla come un inferno sociale: dicevo prima, qualcosa si sta muovendo. Le fonti occupazionali citate, seppur insufficienti, sono certamente un inizio, e le scelte adatte che qualcuno già auspicava una decina di anni fa sono l'unica soluzione che può riportare Montemurro agli antichi splendori.

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Bibliografia essenziale:
E. Schiavone, Montemurro Perla dell’Alta Val d’Agri, a cura dell’Amministrazione Comunale, 1990;
A. Sanchirico, P. Lotito, Montemurro, il tempo e la memoria, Rocco Curto editore, 1994;
G. Lacorazza (a cura di), Me lo conceda il tempo, Vincenzo Lacorazza attraverso i suoi scritti ed i testimoni della sua vita, Rocco Curto editore, 1997;
A. Sanchirico, La Basilicata, Montemurro e il dialetto, Dibuono edizioni, 2010.